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Giuseppe Raggio, nato a Chiavari nel 1823, abbandonò Genova e gli studi intrapresi (per divenire, secondo i progetti paterni, ufficiale di marina) e si trasferì a Roma nel 1848 per darsi alla pittura storica e religiosa. Ma a Roma, come una folgorazione, venne colpito dalla bellezza della Campagna Romana, un universo allora inesplorato dove gli uomini dovevano quotidianamente combattere l’improba fatica del lavoro.

I suoi dipinti quindi rappresentano mandrie condotte dai butteri, trasporti di blocchi di travertino con i bufali ed anche la misera vita nelle Paludi Pontine, orrido e sublime spettacolo per i letterati dell’epoca ma tragico scenario per i suoi abitanti oppressi dalla malaria.

Questi dipinti sono opere sofferte, reali nella rappresentazione e nella sublimazione, anche se esasperata, del concetto di lavoro inteso non come “mansione” ma come “missione”. Accanto, però, a questi, Raggio è capace di offrirci anche opere più serene e, diremo, più fluide, sia pure vitali, come le cappate di cavalli bradi, le pasture, le maternità, i fontanili.

Serenità e tragicità, infatti, sono aspetti della stessa condizione umana la cui indagine interiore sostanzia, nel nostro caso, un originale realismo dell’immagine che viene colta e inserita in una altrettanto personale struttura verista e animalista. Apprezzato dai suoi colleghi e critici contemporanei (i principali musei all’epoca acquistarono direttamente i suoi quadri), non lo fu altrettanto dal grande pubblico, forse per la crudezza di certi suoi dipinti, tanto che tutto sommato può considerarsi un isolato.

La sua pittura è cromaticamente essenziale, fresca e moderna, con pennellate vivaci e rapide e con colori sui verdi marci, sui grigi terrosi, sui bruni, sui rossi sbiaditi e i bianchi sporchi in un impasto materico ora levigato ed ora scabro, ora denso ed impetuoso, ora magro ed illanguidito senza per questo incidere sulla costante capacità del pittore di dare vigorosa forza plastica alle masse dei corpi.

A quasi cento anni dalla morte è giunto il momento, attraverso una migliore e più accurata conoscenza divulgativa della sua produzione, di proporlo in modo definitivo all’attenzione di critica e pubblico per quello che effettivamente Giuseppe Raggio è stato: uno dei più grandi e più originali pittori veristi ed animalisti del nostro secondo Ottocento italiano.



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